Storia delle repubbliche italiane dei secoli di mezzo - Tomo XIII by J.C.L. Simondo Sismondi

Storia delle repubbliche italiane dei secoli di mezzo - Tomo XIII by J.C.L. Simondo Sismondi

autore:J.C.L. Simondo Sismondi [Sismondi, J.C.L. Simondo]
La lingua: ita
Format: epub
pubblicato: 2013-11-11T23:00:00+00:00


Giovanni Sforza, signore di Pesaro, sposò in sul finire dello stesso anno la figlia di Matteo Tiepolo, uno dei più potenti cittadini di Venezia, sperando con tal mezzo di guadagnarsi la protezione della repubblica, mentre che l'influenza del cardinale Ascanio Sforza, suo parente, ritraeva Giulio II dal pensiero di attaccarlo[310]. Il papa riclamava sempre dai Veneziani la restituzione dei piccoli principati che avevano acquistati in Romagna; li faceva alternativamente minacciare dal re di Francia e dall'imperatore Massimiliano; Giulio inspirava a questi principi il suo odio contro i Veneziani, e gettava di già con loro i fondamenti di quella lega che poco dopo si vide formata contro la repubblica. I Veneziani tentarono di placare il papa, offrendogli la restituzione di tuttociò che avevano acquistato in Romagna, ad eccezione di Faenza e del suo territorio, purchè la santa sede li riconoscesse come suoi vicarj in quel piccolo principato, ricevendo da loro lo stesso tributo che pagavano i Manfredi: ma Giulio II sdegnosamente rispose che non voleva lasciar loro una sola torre di tuttociò che avevano usurpato, e che aveva ferma speranza di ritor loro ancora Ravenna e Cervia, sulle quali non avevano più fondati titoli che sul rimanente, sebbene le possedessero da più gran tempo[311]. Aveva fin allora rifiutato di ricevere i loro ambasciatori, che poi accolse in principio del susseguente anno; ma i Veneziani per ottenere questa grazia, che non fu accompagnata da veruna promessa, gli restituirono una decina di fortezze ne' territorj di Cesena, d'Imola e di Forlì; dopo di che le due parti rimasero in pace per alcuni anni, senza che i rispettivi diritti venissero meglio discussi[312].

La Toscana non aveva ricuperata la pace in forza della tregua tra i re di Francia e di Spagna; e le contese delle sue repubbliche erano state risguardate come indipendenti dalle grandi contese che avevano fin allora travagliata l'Italia. Da che i Pisani avevano scosso il giogo de' Fiorentini, mai non avevano cessato di combattere per difesa della loro libertà. Firenze aveva provate diverse violenti rivoluzioni, si era più volte veduta esposta ai più grandi pericoli, ed aveva potuto temere per la propria indipendenza, senza avere mai pensato a fare la pace con coloro ch'ella risguardava come sudditi ribelli, e non liberi cittadini. Dall'altro canto Pisa, doppiamente esausta da ottantasette anni di schiavitù, e da dieci anni di sanguinosa distruggitrice guerra, Pisa, che aveva perduto il commercio e la maggior parte della sua popolazione, e che vedeva ogni anno guastati i suoi campi, si assoggettava a tutte le privazioni, offriva di darsi a vicenda a tutti i principi stranieri, piuttosto che tornare sotto l'abborrito giogo de' Fiorentini. In tempo delle grandi spedizioni de' Francesi e degli Spagnuoli la guerra di Pisa non era mai stata interrotta, e solo trattavasi alquanto più lentamente; ma tosto che si posavano le armi nelle altre parti d'Italia, trovavasi sempre nello stesso stato, e sempre minacciava di riaccendere l'incendio generale che con tanta fatica si era potuto spegnere.

Il re di Francia aveva nominati i Fiorentini tra i suoi



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